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Tribunale di Firenze, Sezione 2 penale, Sentenza 1° agosto 2016, n. 4865

Gruppo S24H

CONVIVENZA PER OSPITALITÀ E MALTRATTAMENTI IN FAMIGLIA
di De Luca Pablo, Stentella Alessandra

Tribunale di Firenze, Sezione 2 penale, Sentenza 1° agosto 2016, n. 4865


Anche in un mero rapporto di ospitalità, connotato da continue sopraffazioni e vessazioni tali da indurre la vittima in uno stato di sofferenza
morale, è configurabile il reato di cui all’art. 572 c.p Non solo.
Laddove tale sopraffazione sfoci in un profitto patrimoniale a danno della p.o. non è mai configurabile il concorso tra i reati di cui all’art. 629 e 643
c.p. ma, piuttosto, è ascrivibile al soggetto agente il delitto di cui all’art. 643 c.p.
Questo è quanto sancito recentissimamente dalla giurisprudenza di merito.

Il caso

La sentenza in commento trae origine da una convivenza tra colleghi di lavoro in cui la persona offesa, separatasi dalla moglie e costretta ad
abbandonare il tetto coniugale, veniva ospitata dall'imputato.
Il caso di specie vede applicarsi dal parte del Giudice di merito l'art 572 c.p. anche ad una mera convivenza di fatto nata per spirito di amicizia ed
ospitalità trasformatasi, successivamente, in una sequenza di condotte oppressive, prevaricatorie e sottese ad avere vantaggi economici, stante la
buona situazione patrimoniale della persona offesa.
Nello specifico, durante la convivenza connotata in un primo periodo dalla serenità, l'imputato aveva chiesto ed ottenuto dalla vittima una serie di
prestiti di denaro con cui aveva acquistato beni personali nonché saldato debiti della sua ex moglie, con la promessa fatta e poi mai mantenuta
della restituzione.
La persona offesa, al momento dei fatti, si trovava in uno stato di salute c.d. di "deficienza psichica", derivante dalla sua condizione di inferiorità
psicologica, che lo induceva a comportarsi in maniera infantile tale da non essere in grado di sostenere le normali occupazioni della vita quotidiana,
(tutto accertato in una perizia psichiatrica) e come confermato dalla nomina di un amministrazione di sostegno da parte del Tribunale.
Durante la convivenza, e sino all'intervento degli assistenti sociali, la vittima veniva costretta a subire atti di violenza fisica (nello specifico lesioni a
seguito di "botte") atti di violenza psicologica (veniva apostrofato con frasi del tipo " Tu non sai far un cazzo", Non capisci nulla"); in alcuni casi
veniva altresì fatta dormire in terra.
Durante l'istruttoria dibattimentale veniva "raccolto" un esauriente materiale probatorio, con testimonianze dirette che avevano visto le lesioni
riportate dalla vittima ed udito le urla durante le aggressioni.
Inoltre, la persona offesa aveva depositato una serie di certificazioni mediche a sostegno delle lesioni subite e del suo stato psicologico.
Non solo.
L’ill.mo Giudice ravvisava, altresì, la configurazione del delitto di cui all’art. 643 c.p. e non del concorso dei reati di cui agli artt. 629 e 643 c.p. così
come contestato dal Pubblico Ministero.

L’ipotesi delittuosa

Interessante quanto è stato ribadito dai Giudici di merito in riferimento al caso de quo.
Questi hanno sancito che, perché si configuri il reato di cui all’art. 572 c.p., è necessaria la reiterazione di una pluralità di condotte che, analizzate
singolarmente, potrebbero anche non costituire reato, ma nella loro ripetizione risiede la ratio della loro antigiuridicità, con persistenza
dell'elemento intenzionale volto a recare nocumento all'integrità psico-fisica del familiare destinatario dei maltrattamenti.
I singoli atti vessatori, pertanto, devono essere uniti sia dal legame di abitualità (elemento oggettivo), quanto dalla coscienza e volontà (elemento
soggettivo).
La condotta deve perpetuarsi nel tempo, ma gli atteggiamenti vessatori non devono necessariamente avere il carattere della continuità.
Quello che unisce tali atti pluri-offensivi è il dolo specifico, che deve essere unitario e programmatico, sotteso, per l'appunto, ad avere una condotta
prevaricatoria.
In ogni caso, tali atti devono essere collegati tra loro in modo da essere inseriti in un’ampia ed abituale condotta, tale da imporre un regime di vita
vessatorio, mortificante ed insostenibile (in tal senso anche il Tribunale La Spezia, 25 ottobre 2008, n. 1119).
Con riferimento al reato di cui all’art. 643 c.p., invero, il giudice di merito ha sottolineato che, tale ipotesi delittuosa, può verificarsi anche nei
confronti di chi versi in uno stato di “deficienza psichica”, ovvero, in una situazione di alterazione dello stato mentale ontologicamente meno grave
ed aggressiva della infermità e non conseguente ad uno stato patologico.
Tale fattispecie criminosa, inoltre, è ascrivibile al novero dei delitti contro il patrimonio mediante frode ed è posta a tutela del patrimonio.
L’elemento soggettivo è il dolo specifico, dovendo sussistere in capo all’agente non solo la coscienza e volontà in ordine agli elementi costitutivi del
reato, ma anche lo scopo di procurare a sé o altri un ingiusto profitto.
Perché possa configurarsi tale delitto, inoltre, devono ricorrere ulteriori due elementi: 1) l’induzione a compiere atti di disposizione patrimoniale
mediante abuso della condizione di deficienza psichica; 2) il compimento di atti dispositivi che comportino un qualsiasi effetto giuridico dannoso per
la p.o.; 3) il fine di profitto.
La prova della condotta induttiva può essere anche tratta da elementi indiziari e prove logiche, avendo riguardo alla natura dell’atto, all’oggettivo
pregiudizio da esso derivante e ad ogni altro accadimento connesso al suo adempimento.

Osservazioni

Diversi sono gli aspetti peculiari della sentenza in commento.
In primo luogo vi è l'applicazione della fattispecie non più all’interno di un rapporto endofamiliare, (esplicandosi l’ipotesi delittuosa, quindi, nei
confronti di una persona cosiddetta “di famiglia” ovvero un minore degli anni quattordici, o una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata
per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l'esercizio di una professione o di un'arte) ma anche ad una convivenza tra
amici posta in essere a qualsiasi titolo anche per una mera ospitalità.
Chiaramente, requisito imprescindibile rimane la sequenza e l'abitualità delle condotte offensive poste in essere connotate dall'intento vessatorio.
Ed infatti, nei confronti della persona offesa deve generarsi una sofferenza morale perseguibile penalmente.
Interessante inoltre, è il fatto che il giudice di merito ha ritenuto rilevante, alla stessa stregua di una violenza fisica, anche tutti gli “atti lesivi della
libertà e del decoro delle persone e della famiglia, in modo da rendere abitualmente dolorose e mortificanti le relazioni tra le vittime ed il soggetto
attivo […] Vi rientrano, pertanto, non solo le percosse, le ingiurie e le privazioni imposte, ma anche gli atti di disprezzo ed umiliazione che
cagionano una durevole sofferenza morale”.
Circa i reati di cui all’art. 629 e 643 c.p. Il Giudice di merito ha ribadito che tra le due ipotesi delittuose non è possibile configurarsi alcun concorso,
anche se “tra di essi è comune il perseguimento di un profitto, in quanto essi si differenziano per il mezzo adoperato dall’agente che, nella
circonvenzione di incapaci è costituito dall’opera di suggestione o di induzione e nell’estorsione, invece, dall’uso della violenza e della minaccia. Ne
consegue che la necessaria esistenza di un nesso causale tra l’evento e uno degli indicati comportamenti dell’agente determina la configurabilità
dell’uno o dell’altro titolo di reato” (cfr. Cass n. 13488/05).
Per tali ragioni, il Giudice, ha ritenuto sufficiente la configurazione del delitto di cui all’art. 643 c.p..
Anche in tal caso è essenziale che ricorra l’elemento della sopraffazione e l’approfittamento di un soggetto estremamente fragile, e non
necessariamente affetto da una situazione patologica.